Tale stanza

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La casa, esattamente come lei, a un osservatore qualunque pareva niente meno che comune e, come si suole dire, nella norma.

C’è qualcosa di più onesto, banale e sincero di una villa a schiera? Non credo. Vista una, viste tutte. Giardinetto sul davanti (spesso non più grande di un fazzoletto da naso), giardinetto sul retro (non li vedete, ma sono più piccoli di un fazzoletto da naso), imposte di legno verdi e, qualora vi sia una padrona di casa, qualche fiore appeso ai balconi, solitamente gerani, il più delle volte fucsia o rossi.

Ed ecco quindi, come dicevo, che a un osservatore esterno la casa e la padrona apparivano tranquille, oneste, serenamente ordinarie. Le cose, però, hanno sempre un “di fuori” e un “di dentro”, lo saprete bene, no?

Al numero 74, infatti, le cose dentro erano ben diverse dalle cose fuori. Da una villetta a schiera ci si aspettano compostezza, ordine, quadri dozzinali, centrini in pizzo e odore di cavolo bollito. O almeno è quello che mi sono sempre atteso io, il che non significa che debba per forza di cose essere la verità, me ne rendo ben conto. Tuttavia, una volta conosciuta la padrona di casa, non restai affatto stupito di ciò che trovai una volta che mi chiusi l’uscio alle spalle.

Pareti color tortora, un grosso divano angolare di pelle bianca, e mobili che avevano tutta l’aria di essere antichi. Quando glielo chiesi, fece una sonora risata e mi spiegò che sì, lo erano e, sempre ridendo, mi supplicò (ovviamente celiava) di non rubare nulla spiegandomi che quelli non erano certo frutto delle sue pochissime fatiche, ma lasciti materni e paterni, persone appassionate di oggetti antichi e, sopra a tutto, belli.

Ad ogni buon conto, nulla mi sembrava fuori posto o fuori luogo; il salotto era un normalissimo salotto comodo e funzionale. Talmente funzionale che non vi si trovavano ninnoli, statuette, centrini, tovagliette, cofanetti, bicchierini, libricini o altre cose di questo tipo. Poiché oramai la conoscevo, supposi che la scelta fosse dettata dal fatto che odiava perdere tempo prezioso spolverando, lavando, lustrando, incerando, ripulendo e aspirando. Il resto della casa era più o meno simile al salotto. La cucina era in legno laccato bianco e marmo nero, le scale in marmo rosa, la camera padronale in stile country chic sui toni del rosa antico e del beige, altre scale in marmo rosa che salivano verso una mansarda ben illuminata quasi totalmente occupata da una grandissima libreria. Ovviamente, mi avvicinai. Potevo forse resistere? Nonostante avessi avuto modo di conoscere la donna che mi stava facendo strada in casa sua, conoscere i suoi gusti letterari era un’occasione troppo ghiotta, e non me la feci scappare. Feci un cenno come per chiedere il permesso e, dopo aver ricevuto un sorriso d’incoraggiamento, mi avvicinai a questa grande libreria in legno scurissimo che riempiva tutta la parete principale.

Horror, romance, gialli, vampiri, zombi, amori impossibili, detective, coltelli, castelli, draghi, assassini, i grandi classici, tantissimi nomi mai sentiti (“Mi piacciono gli esordienti, li trovo… carini!” mi spiegò lei), copertine rigide, brossure, qualche libro (intonso) sulla genitorialità, nessun libro di cucina (ma non avrei mai dubitato del contrario), impressionismo, arte funeraria, romanzi rosa da due soldi, Eco, Malvaldi, Ravera, poveri noi qualcosa di Volo, tantissimo fantasy. Ne uscii molto più confuso di prima, ma non feci domande, del resto che risposta avrebbe potuto darmi?

Mi prese per mano e, scendendo nuovamente le scale, mi riportò al piano delle camere da letto, aprendo per me l’ultima stanza che mancava. Sorrideva furbetta, quasi emozionata, gli occhi brillanti, la mano a farmi cenno di entrare.

Entrai in una piccola stanza, stretta e lunga, lasciata andare totalmente a se stessa, eppure pregna di fascino e sensazione. Da una parte, improbabili attrezzi ginnici dai colori sgargianti e imbarazzanti. Tappetini da yoga, una cyclette, uno step, un curioso affare dalla forma simile a quella dell’infinito (un otto rovesciato). Alzai un sopracciglio e spostai lo sguardo altrove. Trovai una scrivania antica ma piccina, ingombra di carte, blocchi per appunti, fogliettini adesivi giallo carico, fogli sparsi, disegni infantili (la figlia, immaginai), blocchi di fogli rilegati con spirali colorate (“Le bozze che correggo” mi interruppe lei, che evidentemente stava seguendo il mio sguardo), appunti presi su scontrini, liste della spesa, etichette e molte, moltissime penne. Quasi tutte orribili e molto kitsch. C’era quella con la gondola veneziana che fluttuava su e giù, quella slovacca ricoperta di strass, quella londinese con una enorme cabina rossa pendente dal tappo, quella minuscola proveniente dalla Grande Mela, quella banalotta da ufficio (“Solo a punta larga, almeno 0,7, altrimenti non le uso”), lapis, evidenziatori (ne contai almeno cinque), la classica matita rossa e blu delle maestre di una volta, e una bella stilografica nera e lucida di marca (“Non la uso mai, è troppo chic, mi fa venire i complessi di inferiorità!”).

E poi quadri, stampe, fotografie, acquerelli, disegni, locandine di film e un planisfero di dimensioni impossibili da descrivere. Era certamente uno spettacolo vedere il nostro mondo così, colorato e disteso davanti agli occhi e potei capire perché, nonostante se ne facesse ben poco (nella mia testa basica e immatura, solo un insegnante di geografia o di storia poteva desiderare un planisfero, e probabilmente si sarebbe accontentato di una cosina più modesta), avesse scelto di occupare un’intera parete con quella bellissima stampa plastificata.

Mi spiegò, senza perdere il sorriso, che quella stanza e solo quella, per lei, era casa sua. Caos, colori, disordine, libri, appunti e tutti quei quadri e quelle fotografie. Quella stanza era lei. Odori, impressioni, colori, cinque sensi allertati e tanti amici attorno. Quella foto era di Alessandro, quel disegno di Simona, quel quadro di Paolo. “Dagli amici prendo le cose belle che sanno creare e me le piazzo attorno, per me è un onore” continuò guardandosi attorno felice.

Sapeva bene, mi spiegò, che non era la stanza più ordinata della casa, e nemmeno, forse, la più bella. Ma era sua e solo sua. Non aveva molto senso, perché gli oggetti erano casuali e apparentemente privi di senso. Cosa aveva a che fare quel grosso gufo con quella foto di acini d’uva al tramonto? E cosa aveva a che fare quel planisfero con quella stampa che richiamava il fantastico? E soprattutto – ma non lo chiesi – cosa c’entravano quegli attrezzi ginnici? Nulla, se non l’amore per il bello e per gli amici e per l’arte, qualunque essa sia.

Be’, la capii.

E considerai che no, non era affatto la stanza più ordinata della casa, e che sì, c’erano delle briciole (“Taralli pugliesi, ne vado matta!”) e che forse tutta quella polvere non andava granché d’accordo con la sua recente allergia agli acari ma che sì, era davvero la sua stanza, la sua casa, il suo rifugio, il suo riposo.

Ed ecco quindi che, dietro la facciata di una banale villa a schiera, si nascondeva una stanza magica, riempita di sogni, amici, speranze, progetti e parole.

7 thoughts on “Tale stanza

  1. Il diritto al “proprio” angolino andrebbe scritto in costituzione.
    Un posto, un angolo, una stanza o sgabuzzino dove le regole non esistono e dove si è padroni assoluti.

    Ad essere onesti però è un peccato che questo diritto inalienabile possa essere limitato solo ad una piccola stanzetta; perché non fare un buona volta un falò delle convenzioni, delle eredità, dei “questo non va bene” ed applicare il suddetto diritto a tutto il resto della casa? 😉

    —Alex

    • Va bene così. La casa è di tutti, è un bene comune ed è giusto che rispecchi i gusti di ogni abitante. Ma se si riesce a ritagliarsi un angolino piccino tutto per sé, foss’anche il bagno, be’… perché no? 🙂

      • Certo, potessi avere la casa tutta per me, credo avrei libri anche sotto il tavolo, al posto delle sedie. Vivere con qualcuno mi obbliga a mantenere un minimo storico di lucidità e ordine.

      • Io invece sto seriamente sfidando e ripensando il concetto di “ordine” e “lucidità”.
        Chi decide cosa sia ordinato e cosa no? 😀

      • La mia allergia, adesso che l’ho. Quindi combatto la polvere come fosse il demonio. E poi sì, il fatto che tutti debbano passare per le scale e il corridoio e robetta di questo tipo. Ho dovuto evolvermi, in qualche modo.

      • Ecco, sporco e polvere no, quelle non fanno parte della mia revisione del concetto di ordine 😉
        Mobili polverosi, briciole sul pavimento, macchie di dubbia provenienza, no. Quelle le elimino appena posso (il che non vuol dire con regolarità).

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